di Laura Baratin, Sara Bertozzi e Elvio Moretti
Talvolta, il turismo, che di norma è considerato una risorsa importante e a basso impatto può diventare un grande problema, non solo per ecosistemi particolarmente fragili e spesso già ad alto rischio, ma anche per luoghi riconosciuti e tutelati come beni culturali importanti, per cui come ogni altra attività va monitorata e guidata dal management system. In questa nota viene preso in considerazione come “case history” Urbino, nelle Marche settentrionali. Il centro storico di Urbino, patrimonio mondiale UNESCO, ha un’estensione di circa 2 Km² ed è racchiuso tra mura bastionate e quasi interamente costruito in mattoni cotti. “Gli edifici suoi sono di perfetta materia, mattoni e calce, ornati di varie sorti di pietra gentilmente lavorata; e nel Palazzo solo del Principe, ne sono tante che basterebbero ad arricchire gran parte di una città non piccola … Le strade poi della città sono lastricate non di grossa ghiaia, né di pietre vive, come per lo più quelle delle città di Romagna e della Lombardia, ma di mattoni per taglio, che la rendono molto comoda e pulita”. Con queste parole Bernardino Baldi nel suo «Encomio della Patria» esalta il decoro edilizio di Urbino e anche oggi passeggiare per la città significa esplorare un ambiente urbano unico, totalmente plasmato in laterizio.
È come muoversi in una labirintica scultura in terracotta, che spesso ci avvolge completamente dalla pavimentazione, alle pareti, alle piccole volte, con la pietra calcarea che disegna con il suo colore bianco le finestre e i portoni, in un insieme di straordinaria armonia.
Già nell’opera del Baldi vi era un’attenzione tutta particolare a questo connubio tra pietre e mattoni che contribuiscono in egual misura a costruire il fascino tutto particolare d i questo centro storico. Di forma romboidale allungata in direzione N-S il centro è diviso da due assi viari principali e quasi perpendicolari tra loro integrati da una fitta trama urbanistica nella quale si snodano stradine, saliscendi, vicoli, scalinate, sottopassi, palazzi e chiese che formano, grazie anche al paesaggio, una scenografia davvero unica al mondo, su cui svettano gli eleganti torricini dell’imponente Palazzo Ducale, attualmente sede della Galleria Nazionale delle Marche. Urbino rappresenta per le Marche una delle principali attrattive turistiche della regione, come si può notare dal grafico di Fig. 1, in cui sono riportati gli arrivi in città suddivisi per mese relativi all’anno 2015 (fonte: Osservatorio Turismo della Regione Marche).

Fig. 1 – Istogramma con suddivisione mensile relativa all’anno 2015 degli arrivi per il comune di Urbino. (Fonte: Osservatorio Turismo della Regione Marche)
Il progetto GIS
Utilizzare il GIS significa sicuramente enfatizzare la natura geografica del luogo che diventa il filo conduttore, per arrivare alla definizione di una serie di cartografie tematiche sviluppate o analizzate ad hoc per le diverse casistiche.
Nel caso di Urbino sono stati valutati come imprescindibili due capisaldi per lo sviluppo della ricerca di cui il primo era sicuramente poter disporre di una cartografia di dettaglio che documentasse la situazione attuale del centro storico.
Dal momento che l’amministrazione comunale disponeva già di una cartografia vettoriale di questo genere alla scala 1:2000, vettoriale in formato DWG, georeferenziata e che conteneva tutte le informazioni 3D con le quote al terreno (Urpterr) e ai tetti degli edifici (Urptetti) (cfr. fase 1 nello schema di Fig.2) si è potuto procedere senza prevedere lunghi e costosi rilevamenti ad hoc.

Fig. 2 – Mappa concettuale delle fasi e dello sviluppo del Sistema Informativo Territoriale applicato per lo studio di Urbino
Riutilizzare dati già esistenti, specialmente se di buona qualità, è sicuramente una buona norma quando si impianta un progetto di questo tipo per consentire di diminuire i costi e accorciare i tempi di sviluppo del progetto.

Fig. 3 – Triangulated Irregular Network della situazione attuale (1) e di quella ricostruita sulla base della elaborazione dei dati cartografici attuali e delle informazioni storiche e archeologiche
Il secondo punto imprescindibile per portare a compimento la ricerca era ricostruire la morfologia del luogo prima di ogni intervento antropico, per passare poi, utilizzando dati archeologici, storici e di archivio, a ipotizzare lo sviluppo della prima città romana, e poi via via, la medievale, rinascimentale, ottocentesca, fino ai nostri giorni. Questa ricostruzione geomorfologica e le successive trasformazioni dell’area sono state effettuate nel progetto GIS partendo dai tre layer derivati dalla cartografia Urpterr, il primo con il posizionamento dei punti quotati, il secondo con le polyline delle isoipse e il terzo con i polygon dei singoli edifici.
L’elaborazione è stato un procedimento cosiddetto a “levare” cioè sono stati cancellati, in modo consapevole dall’operatore, tutti i dati che non riguardavano il periodo considerato.
Lo stadio di evoluzione iniziale è stato ricostruito quindi eliminando tutto il costruito e ridisegnando la morfologia delle aree che restavano vuote tramite lo strumento contour del GIS.
Il geomorfologo poteva poi a sua discrezione apportare modifiche in modo manuale ed effettuare successivi ed opportuni controlli tramite GPS sul terreno quando ritenuti necessari (cfr. fase 2 nello schema di Fig.2).
Il risultato finale è quello che possiamo vedere in Fig. 3 che mette a confronto i due TIN (Triangulated Irregular Network) visualizzati tramite ArcScene di ESRI: 1) situazione attuale e 2) l’assetto morfologico della stessa area prima degli interventi antropici. Va inoltre specificato che la correttezza del risultato ottenuto dipende da diversi fattori, sicuramente dalla completezza e dalla accuratezza dei dati disponibili, ma anche dalla complessità morfologica dell’area e non ultimo dall’esperienza e capacità dell’operatore. I dati archeologici a nostra disposizione indicavano che il colle, isolato da due profonde incisioni vallive, denominato “il Poggio”, anche se abitato fin dai tempi preistorici, registrava il primo insediamento significativo in epoca romana, quando sorgeva “Urvinum Mataurense”, divenuto municipio romano dopo la “Lex Julia Municipalis” che Giulio Cesare fece varare nel 48 a. C.
Dai resti ancora visibili risulta chiara la presenza di una città fortificata, le cui mura seguivano la forte scarpata che delimitava la parte superiore del colle. Ciò non impedì a Belisario, generale bizantino, di conquistarla nel 538, seppure prendendola per sete, dato che l’approvvigionamento idrico, proprio per la sua posizione, era ed è sicuramente problematico. Nel 733 discese in Italia Carlo Magno che, dopo aver distrutto il regno longobardo, assegnò Urbino alla Chiesa. In tutto questo periodo avvenne naturalmente un’espansione del centro abitato che rimase comunque fortemente condizionato dalla componente geomorfologica (cfr. fase 3 in Fig. 4).

Fig. 4 – Sviluppo della cinta muraria della città di Urbino. 3: in ocra la cinta del periodo romano e in verde quella del periodo medievale. 4: in blu la forte espansione che coincide con il periodo della Signoria del Duca Federico da Montefeltro e le forti modifiche apportate da Francesco di Giorgio Martini nella parte terminale della valle del torrente Risciolo
L’espansione medievale fu determinata da una tendenza ad urbanizzare le zone più pianeggianti, estendendosi quindi quasi unicamente in direzione nord, fino a raggiungere il colle vicino.
Le variazioni morfologiche più significative si registrarono invece dopo la nascita del Ducato, che risale al 1443, in virtù della nomina, da parte di papa Eugenio IV, di Oddantonio II da Montefeltro che regnò però meno di un anno, venendo assassinato in seguito ad una sollevazione popolare, nella notte tra il 21 e il 22 luglio 1444. Questo evento portò al potere il fratellastro maggiore Federico, celebre tanto come condottiero in battaglia quanto come colto mecenate delle arti. Sotto la sua guida, dal 1444 al 1482 il ducato divenne ben presto uno dei centri focali del Rinascimento italiano. L’assetto urbano che assunse la città dopo gli interventi effettuati durante questo periodo è giunto intatto fino a noi e rappresenta ancor oggi l’apice dell’architettura del Rinascimento, armoniosamente adattata al suo ambiente fisico e al suo passato.
Le trasformazioni principali sono due e di tipo completamente differente. La prima è sicuramente da mettere in relazione con la costruzione del Palazzo Ducale che Baldassarre Castiglione nel Cortegiano illustra con questa frase: “Federico edificò un palazzo, secondo la opinione di molti, il più bello che in tutta Italia si ritrovi; e d’ogni opportuna cosa sì ben lo fornì, che non un palazzo, ma una città in forma di palazzo esser pareva”. Per raggiungere il suo scopo Federico chiamò a sé gli uomini e gli artisti migliori del suo tempo ma furono soprattutto Luciano Laurana e Francesco di Giorgio Martini a lasciare la loro impronta nell’assetto architettonico della città. Il Laurana, dal 1464 circa fino al 1472, si occupò del Palazzo Ducale dandogli un nuovo ed originale assetto con la costruzione del vasto cortile porticato, che raccordava gli edifici precedenti e con l’espansione verso la città fino ad assumere una forma a “L”, diventando il fulcro del tessuto urbano. La parte a strapiombo su Valbona venne invece risolta con la “facciata dei Torricini” che, per non forzare troppo la morfologia della scarpata, risulta leggermente ruotata verso ovest rispetto agli assi ortogonali del palazzo.
Nel 1472, alla partenza del Laurana per questioni mai del tutto chiarite, subentrò nella direzione dei lavori Francesco di Giorgio Martini, che iniziò un nuovo sviluppo, che continuerà fino alla morte di Federico nel 1482 e anche oltre, sotto il reggente Ottaviano degli Ubaldini e sotto Guidobaldo da Montefeltro. L’opera di Francesco di Giorgio Martini va però ricordata soprattutto per le importanti trasformazioni apportate nell’alta valle del torrente Risciolo.
Se la costruzione del Palazzo aveva comportato trasformazioni sul costruito, con l’abbattimento di molte vecchie costruzioni presenti sul Poggio, dove già sorgeva l’antica città romana, vi era ora la inderogabile necessità di acquisire nuovi spazi per l’espansione dell’intero nucleo urbano.
Il non semplice problema venne risolto da Francesco di Giorgio con la costruzione al di fuori delle mura delle “Volte del Risciolo”, imponenti sostruzioni che, oltre a svolgere la funzione di contenimento delle spinte causate dalla costruzione del Palazzo, chiudendo la parte terminale della valle consentì l’urbanizzazione dell’area che prende il nome di Valbona. Le volte del Risciolo costituirono quindi una opera fondamentale che, anche se posizionate esternamente alle mura, influenzarono direttamente lo sviluppo urbano della città di Urbino (cfr. fase 4 in Fig.4). Per meglio comprendere il problema dei dislivelli e dell’urbanizzazione della scarpata possiamo utilizzare la sezione composita, circa E-W, riportata in Fig. 5.

Fig. 5 – Sezione composita che evidenzia i quattro livelli di quote fondamentali nelle trasformazioni apportate in seguito alla costruzione del Palazzo Ducale (quota 450 m ovvero quota del cortile d’onore che corrisponde a quella dell’antico foro romano). Sulla destra si nota lo sviluppo della scarpata occidentale con la base dei torricini posta a quota 433 m, raccordata verso il basso dalla Rampa elicoidale, percorribile a cavallo, e successivamente modificata in parte con la costruzione nell’Ottocento del teatro Sanzio, con cui si raggiunge la quota 410, corrispondente al piano di riempimento del Mercatale. Infine il muro di sostruzione del Risciolo chiude la testata della valle con una altezza massima di 25-26 m e sette possenti arcate che poggiano la base a quota minima di 384 m, opera come la Rampa elicoidale di Francesco di Giorgio Martini della seconda metà del ‘400
Il Palazzo Ducale si trovava posizionato sul luogo dove in epoca romana era situato il foro, a quota 450 m, ma il suo lato occidentale arrivò ad acquisire spazio con uno sviluppo quasi verticale, conquistando per intero la scarpata e individuando due quote fondamentali, la base dei torricini a quota 433 m e quella del Piazzale Mercatale a 410. Il raccordo tra i due piani avviene attraverso la Rampa Elicoidale, mentre la base delle “Volte del Risciolo” si trova a quota 384 m. Questo ultimo dislivello venne colmato da macerie e terreno che la tradizione locale fa risalire ai lavori per la fondazione del Palazzo Ducale e delimitato da un enorme muro, definito da un’altezza massima di 26 m e composto da sette volte in muratura che sorreggono il piano.

Rusciolo, chiesa di san rocco prima del 1910
La spianata che si venne a generare prese il nome di “Mercatale” poiché sede di mercato, mentre la Rampa Elicoidale, così chiamata per la sua forma a chiocciola, permetteva a carri e cavalli di raggiungere la “Data” (o “Orto dell’Abbondanza”), nonché le grandi scuderie e stalle poste nel seminterrato del Palazzo Ducale. È proprio su Piazzale Mercatale che venne aperta Porta Valbona, manufatto architettonico collegato alla cinta muraria, ideato e costruito dall’architetto urbinate Sigismondo Albani. È l’unica Porta di Urbino provvista di un paramento monumentale rivolto verso l’esterno e costituisce la principale via di accesso alla città. Venne realizzata nel 1621, come ricorda la scritta, “VRBINVM ROMANORVM ANTIQVISSIMVM MUNICIPIVM VMBRIA OLIM VETVSTISSIMA CIVITAS MODO INTER PICENI MAIORES, LONGE TAME HISCE TEMPORIBVS SVB SERENISSIMIS DVCIBVS SVIS CLARIOR, SED ILLARIOR NVQ; FEDERICO ET CLAUDIA PRINCIPIBVS FAVSTVM ET SAECVNDVM PRECATVR CONIVNGIVM” in occasione delle nozze del principe Federico Ubaldo della Rovere con la principessa Claudia de’ Medici, per accogliere il corteo nuziale e gli sposi provenienti da Firenze. Lungo il percorso furono allestiti archi trionfali per lo più opere precarie, fatta eccezione per questa Porta, che fu realizzata in pietra e laterizi, nonostante si sapesse che il corteo nuziale e gli sposi si sarebbero trattenuti ad Urbino una sola notte. Il Duca infatti aveva stabilito la sua residenza a Pesaro dove, nel febbraio 1622, nacque Vittoria, destinata ad essere l’ultima discendente dei Della Rovere. Federico Ubaldo morì infatti l’anno dopo a Urbino, all’età di 18 anni appena compiuti, il 28 giugno 1623. Ancor oggi e non solo perché legata a questi fatti storici, ma anche per la sua importante funzione di principale accesso alla citta, Porta Valbona è la più importante delle sette porte di cui è dotata la cinta muraria della città di Urbino, come è riportato in Fig. 6.

Fig. 6 – Pianta del centro storico di Urbino del 1841, che non presenta sostanziali modifiche rispetto alla situazione attuale. I principali cambiamenti si concentrano solo sulla Porta e sul Bastione del Monte, che è stato in gran parte modificato a seguito della costruzione del Parco delle Rimembranze
Porta Valbona ha da sempre creato molteplici problemi legati al degrado, soprattutto del materiale lapideo, per cui diversi sono stati gli interventi di restauro che si sono resi indispensabili per giungere all’attuale stato di conservazione.
Il primo avvenne ad opera di Mastro Silvio Tommasini nel 1755 e si concentrò per lo più sulla parte ornamentale e sulla stabilizzazione delle due aquile, opera dall’architetto Giovan Francesco Buonamici. Nel 1825 Giuseppe Corsini provvide ad alcune riparazioni e restauri, mentre nel 1873 venne rimossa una fontana pubblica che si trovava a ridosso della porta, operazione che evidenziò anche gravi problemi di degrado, per cui fu effettuato anche un restauro di tipo strutturale. Anche negli anni ’50 del XX secolo è stato necessario intervenire per altri lavori strutturali, in seguito ai quali si realizzò il camminamento sopra la porta con il posizionamento di un’epigrafe sulla sommità del frontone, attestante i restauri eseguiti in quegli anni. Il testo riporta: ANNO JVBILAEI MCML AERE PVBBLICO PRINISTINI OPERIS AD EXEMPLAR RESTITUTUM. Gli ultimi restauri in ordine di tempo risalirono al 1985-86 e al 1995.
Tutte queste informazioni sono assolutamente necessarie per mettere in atto una efficace azione di conservazione ma è altresì necessario avere una mappa precisa ed affidabile dei materiali costituenti e del loro stato di conservazione. Ecco quindi che il GIS diventa ora non più solo uno strumento di analisi spaziale dell’urbanizzazione ma anche di gestione e di intervento, in grado di coordinare non solo i dati legati alla rappresentazione in pianta ma anche quelli tramite prospetti (cfr. Fig. 7).

Fig. 7 – Prospetto esterno di Porta Valbona in cui sono evidenziati i materiali costitutivi mentre nell’istogramma è riportato il valore areale dei diversi componenti, segue la visualizzazione 3D tramite ArcScene di ESRI e la mappatura del degrado e dei precedenti interventi di restauro. Il GIS si rivela uno strumento particolarmente utile anche per la gestione dei dati relativi ai prospetti e non solo alla rappresentazione in pianta
Tornando all’evoluzione del centro storico possiamo constatare che la citta conobbe, dopo un periodo di declino, una nuova fase di sviluppo all’inizio del XVIII secolo, a seguito dell’elezione al soglio pontificio di Clemente XI, figlio della principesca famiglia Albani. Questa, promuovendo con illuminato mecenatismo l’edilizia civile e religiosa, contribuì a dare un nuovo volto alla città, senza però modificare significativamente lo sviluppo delle mura che avevano assunto la tipica forma romboidale, con la diagonale maggiore posta all’incirca in direzione N-S, che farà coniare a Vittorio Emiliani l’espressione “Urbino nave di pietra”, trasposizione in forma letteraria della forma che la città aveva assunto dopo i cambiamenti rinascimentali e che manterrà inalterati nel futuro, come si può notare anche nella mappa orografica di Fig.6, risalente al 1841.
Nell’ambito del piano di risanamento e ristrutturazione del centro storico varato dal Comune di Urbino nel 1964, che comprendeva il ripristino dei camminamenti di ronda sulle mura, la riapertura della rampa di Francesco di Giorgio, il recupero delle vecchie stalle del Duca denominate la “Data” e la chiusura del centro storico al traffico, si inserì anche la trasformazione del “Mercatale” in parcheggio sotterraneo per le autovetture. I lavori iniziarono nel 1969 e si conclusero nel 1972. Dopo Francesco di Giorgio Martini sarà un altro architetto, Giancarlo De Carlo che opererà una trasformazione importante, anche se non particolarmente appariscente, in questo importante punto di accesso alla città. Con la costruzione del parcheggio e la chiusura, nel 1987, della linea ferroviaria che collegava Urbino a Fano, il “Mercatale” vide aumentare di molto anche il numero degli autobus e la pressione su questo delicato punto della città diventò poco sostenibile per cui, all’inizio del XXI secolo, l’amministrazione decise di creare un nuovo punto di accesso alla città con la creazione del complesso di Porta Santa Lucia, non solo un parcheggio multipiano, con la stazione degli autobus ma anche un centro commerciale con negozi, bar e ristoranti. Questo posto diventò così un parcheggio ottimale per andare a fare compere ma anche per raggiungere il centro storico evitando impervie salite, multe e parcheggi improvvisati. Secondo un recente sondaggio, la maggioranza degli urbinati ritiene utile la struttura inaugurata nel maggio 2014, anche se non tutti la utilizzano con continuità, per cui alla fine il Mercatale ancora oggi continua a svolgere la sua funzione di accesso principale alla citta di Urbino.
Il progetto GIS per Urbino non è uno studio che rimane depositato in qualche server spento e dimenticato, ma è in continua evoluzione e si compone di altri tematismi che per questioni di spazio non è stato possibile affrontare in questa nota. Tra questi bisogna ricordare che si sta predisponendo tutta la documentazione dello scavo archeologico che a pochi metri di distanza dal Palazzo Ducale ha riportato alla luce alcuni resti di un teatro romano (Fig. 8). Gli scavi erano fermi da più di quarant’anni e solo nel 2015 sono stati ripresi ed è stato possibile tentare una ricostruzione virtuale dell’aspetto originale del teatro.

Fig. 8 – Scavo archeologico dei resti del teatro romano, la più importante testimonianza archeologica della città romana
Gli scavi erano fermi da più di quarant’anni e solo nel 2015 sono stati ripresi ed è stato possibile tentare una ricostruzione virtuale dell’aspetto originale del teatro. Altro elemento che si intende valorizzare è la cinta muraria che necessita di un rilievo ex novo tramite laser scanner ed elaborazione GIS che possa evidenziare tutti i problemi di degrado strutturale o attacco biologico, ma al contempo possa divenire anche momento di valorizzazione e fruizione da parte dei visitatori.
Si sta cercando inoltre di valorizzare ad Urbino anche il contemporaneo, quindi non solo la Urbino rinascimentale di Luciano Laurana e di Francesco di Giorgio Martini o Urbino la città di Raffaello, ma anche la Urbino ottocentesca e quella di Giancarlo De Carlo o quella delle sculture di Umberto Mastroianni, restaurate dalla Scuola di Conservazione e Restauro dell’Università, in attesa di trovare un luogo dove sia possibile esporle. Anche fuori dalle mura sono presenti importanti punti di interesse che andrebbero studiati e valorizzati come ad esempio la Fornace Volponi, oggi in stato di abbandono e in forte degrado. La struttura, costruita attorno alla metà del 1800, visse un periodo glorioso in piena rivoluzione industriale, tanto che questa fabbrica di laterizi rappresentava il punto di partenza di qualsiasi nuova costruzione o ristrutturazione nel Montefeltro. Paolo Volponi dopo che la sua famiglia aveva acquistato la fornace nel 1908, passò qui gran parte dell’adolescenza e ne assorbì le ideologie anarchiche e repubblicane che trovavano spazio tra i lavoratori del settore industriale dell’epoca. Crescendo, divenne prima partigiano, poi poeta, e infine senatore della Repubblica. Con la chiusura della fabbrica, nel 1971, è cominciato un lento degrado che perdura ancora oggi.
Infine occorre porre in evidenza l’importanza di Urbino come punto di partenza per l’esplorazione dei territori circostanti, dagli incredibili ed affascinanti resti della Flaminia Romana e di Forum Sempronii, fino alla Riserva Statale della Gola del Furlo, alle Opere di Land Art presenti alla Casa degli Artisti di Sant’Anna del Furlo oppure ai Musei di Cagli e Cantiano.
Come si può notare in questa fase si sta puntando moltissimo sulla capacità del GIS di costituire quel contenitore capace di integrare in un unico data warehouse la combinazione di tutti i dati provenienti da fonti e formati diversi, organizzati in modo da fornire uno strumento di gestione e fruizione unico e interoperabile con il resto della tecnologia informatica, arrivando a fornire un quadro completo dell’evoluzione dell’ambiente naturale e antropico in un’ottica di conservazione e valorizzazione.
Questo processo di fusione diventa significativo in una molteplice varietà di situazioni, che comprendono naturalmente lo studio scientifico finalizzato alla ricerca e la gestione ordinaria degli interventi di restauro che si rendono necessari nel tempo per mettere in opera una reale ed indispensabile conservazione programmata della città. Infine è importante portare alla conoscenza dei visitatori tutte queste problematiche per renderli consapevoli che si tratta di luoghi importanti e fragili, talora difficili da conservare e che questo processo parte anche da un atteggiamento di rispetto che essi assumono durante il loro periodo di visita.
In definitiva Urbino non ha bisogno di far aumentare l’affluenza turistica, ma di avere sempre più visitatori consapevoli e rispettosi e che il management sia altrettanto consapevole che l’unico modo per mantenere nel tempo i benefici economici legati al turismo è in primo luogo la conservazione e la conoscenza approfondita del bene e che il GIS, come strumento, possa facilitare entrambe queste azioni è sicuramente un dato di fatto.